la sede css

Rita Maffei e il Festival Internazionale di Teatro di Teheran

In seguito all’invito dell’Ambasciata Italiana in Iran, si è realizzata una collaborazione tra CSS Teatro stabile di innovazione del FVG e il Teatro nazionale di Teheran per il Festival Internazionale di Teatro che si è svolto dall’8 al 17 gennaio 2007 nella capitale iraniana, dove ha debuttato Cecità tratto dal romanzo del Premio Nobel portoghese Josè Saramago, nell’adattamento di Gigi Dall’Aglio che ne ha curato la regia, assistita da Rita Maffei, con una compagnia interamente iraniana.
Si tratta del riallestimento dello spettacolo che il CSS, insieme al Teatro stabile di Parma e al Teatro di Roma, aveva prodotto nel 2004 e che il pubblico udinese aveva apprezzato nella stagione di Teatro Contatto 2003/04. Le prove si sono tenute a Teheran dal 7 dicembre 2006 a metà gennaio 2007.

Preparare la valigia questa volta è più difficile del solito. Non per l’indecisione dell’abbigliamento da adottare, ma perché l’entusiasmo della partenza è accompagnato da un po’ di paura.
L’11 settembre del 2001 stavo lavorando in Francia al Centre Dramatique National a Caen in Normandia sul tema della rivolta e, dopo una giornata in cui la compagnia ha interrotto il lavoro per seguire le notizie in tv, il corso delle prove è cambiato radicalmente, ponendoci interrogativi completamente diversi sul senso della rivolta e di ciò che stavamo raccontando.
Nuove paure entravano nelle nostre vite, nuove insicurezze, nuovi interrogativi.
La telefonata arriva mentre riempivo il carrello della spesa in un supermercato: “vieni a Teheran?”. Pronuncio il “sì” senza nemmeno pensarci, senza dubbi, con entusiasmo e, in questi mesi in cui tutti mi chiedevano “ma non hai paura?”, mai ho pensato che la paura potesse farmi rinunciare a questo viaggio. La paura fa parte delle nostre vite, la incontriamo nella metropolitana di Roma, sugli autobus di Londra, nelle strade di Parigi, in aereo, negli ultimi cinque anni è stata una compagna di viaggio, ma non possiamo permetterle di tenerci a casa, non possiamo permettere che venga usata come strumento politico.
La possibilità di conoscere, di incontrare e parlare con persone appartenenti a culture diverse in paesi diversi è l’occasione di superare la paura, quella che, come diceva Fassbinder, “mangia l’anima”.
E molto spesso l’occasione di incontro, la linea di confine sulla quale la paura della diversità viene superata è il luogo dell’arte, della cultura, della musica, del teatro.
Così accadeva che in India, nei giorni in cui ad Ahmedabad vigeva il coprifuoco a causa dei violenti scontri tra musulmani e induisti, nel teatro dove lavoravo musicisti di entrambe le religioni suonavano insieme lungo il fiume che divide le due parti della città.
La paura che provo è qualcosa di diverso, che ha a che fare con il confronto con qualcosa di completamente nuovo per me: l’obbedienza a regole con le quali non avrei mai pensato di dovermi misurare. Non parlo del velo o dello spolverino che le donne devono indossare nei luoghi pubblici in modo da lasciare solo viso e mani scoperti, nascondendo così le forme del corpo. L’hejab è obbligatorio per legge in Iran, portarlo rientra nel rispetto per la cultura e per le leggi locali.
Parlo piuttosto della censura, del fatto di aver dovuto sottoporre il copione dello spettacolo alla commissione che lo ha valutato e ha dato il suo nulla osta mesi prima dell’inizio delle prove e della necessità che lo spettacolo passi l’esame della stessa commissione prima del debutto.
“Cecità” di Saramago è un testo molto forte che narra di una immaginaria, e evidentemente simbolica, epidemia di cecità che rende un paese invivibile, portando la convivenza civile a uno stadio primitivo dove violenza e sopraffazione determinano le uniche possibilità di sopravvivenza. E’ stato quindi necessario tagliare le parti crude e tremende in cui Saramago descrive uno stupro collettivo, la scena piena di poesia in cui le donne nude escono sotto la pioggia per potersi finalmente lavare e tutte le espressioni che potevano essere offensive per la rigida morale iraniana. Parlo anche della relazione tra gli attori che devono rispettare in scena le stesse regole della vita quotidiana, come si potrà raccontare un mondo cieco portato alla condizione animale senza offendere nessuno?
La paura di cui parlo è molto sottile e ha a che fare con il teatro, con l’espressione artistica.
Lavorare in teatro, esprimere le proprie convinzioni, i propri pensieri attraverso l’espressione artistica è il più grande dei poteri e necessità di libertà.
Lo stimolo più forte in questo viaggio che sto per intraprendere è legato al concetto di libertà nell’espressione artistica e quindi politica: preparo la valigia piena di interrogativi a cui spero di trovare risposta ascoltando le voci degli uomini e delle donne che fanno teatro in un paese ricco di storia, di cultura e di poesia che così poco conosciamo.

Rita Maffei
28/11/2006