Lo Spazio della Quiete
Quando la «rappresentazione teatrale» non origina da un testo scritto e non è commedia, tragedia, esprime un’idea di linguaggio che non coincide con una costituita visione della scena e con una altrettanto prefigurata rappresentazione dell’azione.
locandinarealizzazione Paola Trombin, Mariangela Gualtieri
Quando la «rappresentazione teatrale» non origina da un testo scritto e non è commedia, tragedia, esprime un’idea di linguaggio che non coincide con una costituita visione della scena e con una altrettanto prefigurata rappresentazione dell’azione. Il teatro diviene allora il luogo neutro ed assoluto nel quale si ricrea l’origine della scena e dell’azione, nel quale si pone il problema della rifondazione del linguaggio, della scena e della azione.
Il dato iniziale che si esprime nello Spazio della quiete è l’amore. Lo spettacolo però non intende affatto rappresentare quel sentimento attraverso la cultura dell’amore e del suo secolare spessore storico. L’amore che si rappresenta attraverso la presenza di due corpi-donne, esprime in primo luogo l’assenza calcolata di ogni esperienza predeterminata di amore.
Quest’ultimo viene quindi costantemente rappresentato al di sotto e al di sopra di ogni coscienza e cultura collettiva. Due Donne, due attrici, e con loro sassi di fiume, un forcale di legno, un telo, e intorno a loro il cavo universo dello spazio prezioso di luce, così come è prezioso il silenzio che avvolge la rappresentazione simbolica della quiete.
Il teatro della quiete è allora questo: nominare la realtà che non si rivela, decifrare contenuti sconosciuti di verità nello spazio delle scene, selezionare i nuovi oggetti del nuovo sublime, trasferire nel gesto dell’azione una rappresentazione di corpi e di oggetti che traducono nella esperienza del linguaggio una visione teatralizzata della realtà interna ed esterna al soggetto. Ritrovarsi soli, nel buio e nel silenzio, nella rarefazione di questo lavoro è un’esperienza limite. Un esperimento, un lavoro privato che lo spettatore deve fare su di sé, dentro di sé.
Il Teatro della Valdoca di Cesena all’inizio era teatro di figure e di animazione. Questa fase culmina nel 1978, con la collaborazione col Bread and Puppet americano e la sua filiazione italiana Pupi e Fresedde. Ma, nello stesso periodo, lo spettacolo Tre storie brevi segna il distacco dalle tecniche tradizionali del teatro di figure, e l’inizio di un confronto con le modalità espressive del fumetto, della TV, del cinema d’animazione e della pubblicità. C’è continuità sostanziale nel lavoro, data dall’accento sull’immagine e sul ritmo-montaggio, piuttosto che sul corpo-parola. Nel 1979 alcuni suoi componenti soggiornano in Polonia lavorando nei laboratori teatrali di Varsavia, Cracovia, Poznan e Wroclaw.
Dal 1978 al 1980 la Compagnia produce oltre a Tre storie brevi tre azioni di strada: Chiaroscuri, Concerto teatrale e Indicatori. In questi due anni l’attività del Teatro della Valdoca si è svolta in Italia e all’estero partecipando ad importanti rassegne e festival nazionali ed internazionali. La Biennale di Venezia, sulla base del successo avuto dalla compagnia nel primo carnevale 1980 (La confusione dei linguaggi) con i quattro spettacoli citati, nel settembre 1980 ha rinnovato l’invito per il carnevale 1981 (La Ragione ed il teatro dell’illuminismo) proponendo la co-produzione di uno spettacolo. Per tale occasione il Teatro della Valdoca ha allestito Tavole Sinottiche, rappresentato in prima assoluta appunto a Venezia.