Autoritratto
Davide Enia
locandinacon il patrocinio della
Mercoledì 4, Giovedì 5 e Venerdì 6 dicembre ore 21
Udine, Teatro S. Giorgio, Sala Pinter
Venerdì 28 febbraio ore 20.45
Cervignano del Friuli, Teatro Pasolini
“Io non ho nessun ricordo del 23 maggio 1992. Non ricordo dove fossi, con chi, quando e dove ho appreso la notizia della bomba in autostrada che ha ucciso il giudice Giovanni Falcone, sua moglie e alcuni agenti della scorta. I miei parenti, i miei amici, i miei compagni, tutte le persone che conosco hanno un chiaro ricordo di quel giorno. Io ho un vuoto che non si riempie. Le mie difese emotive hanno operato una rimozione tanto profonda quanto dolorosa. Ma non è la rimozione uno degli effetti della nevrosi? In Sicilia praticamente tutti abbiamo avuto, almeno fino alle stragi, un rapporto di pura nevrosi con Cosa Nostra. È un discorso che ha a che fare con la coscienza collettiva condivisa, con la pratica del quotidiano, con strutture di pensiero millenarie. Per diverse ragioni, da noi la mafia è stata minimizzata, sottostimata, banalizzata, rimossa o, al contrario, mitizzata. Ovvero: non è mai stata affrontata per quello che è. E, a questo sfocamento dell’oggetto da studiare, è corrisposta una inconscia introiezione di quelle identiche modalità di comportamento, stesse pratiche, simili scatti emotivi. Per uno sguardo che indugia su un particolare, a Palermo può partire un aggàddo, una rissa. Il padre che impone al figlio l’iscrizione a una data facoltà universitaria moltiplica la logica del patriarca cui si deve obbedire. La difficoltà di nominazione del desiderio e la conseguente consegna alla dittatura del silenzio rende la logica del Potere pronta ad aggredire e a imporsi con maggiore facilità. Questo è quindi uno dei problemi che abbiamo con Cosa Nostra: in una maniera dolorosa e sconcertante, a volte la mafia rappresenta uno specchio della nostra vita familiare, dei nostri processi decisionali e operativi, del nostro modo di osservare il mondo e intendere le relazioni, del nostro rapporto con la religione. Sono tutte operazioni che scavano a livello inconscio, e che proprio nella comune base linguistica creano le prime cicatrici emotive. In una culla culturale in cui «’a megghiu parola è chìdda ca ‘un si dice”», la miglior parola è quella non detta, che si configura come prima soglia dell’omertà, affrontare per davvero Cosa Nostra significa iniziare un processo di autoanalisi. Non volere quindi capire in assoluto la mafia in sé, quanto cercare di comprendere la mafia in me. Questo assunto configura così una necessaria intelaiatura biografica nella costruzione del testo. A Palermo tutti quanti abbiamo pochissimi gradi di separazione con Cosa Nostra. Il primo morto ammazzato l’ho visto a otto anni, tornando a casa da scuola. Conoscevo il giudice Borsellino, abitava di fronte casa nostra, sono cresciuto giocando a calcio con suo figlio. E padre Pino Puglisi, il sacerdote ucciso dalla mafia, era il mio professore di religione al liceo. Come me, i miei amici, i miei compagni, i miei concittadini, tutti quanti abbiamo toccato con mano la mafia. Tutti possediamo una costellazione del lutto in cui le stelle sono persone ammazzate da Cosa Nostra.
Ecco una costante dei palermitani: sentirsi ovunque costantemente in pericolo. La nevrosi è inscritta nel nostro orizzonte degli eventi.
Lo spettacolo poi prenderà in esame un caso particolare, un vero e proprio spartiacque nella coscienza collettiva: il rapimento e l’omicidio di Giuseppe di Matteo, il bambino figlio di un collaboratore di giustizia, rapito, tenuto per 778 giorni in prigionia in condizioni spaventose e infine ucciso per strangolamento per poi venire sciolto nell’acido. Una storia disumana che si configura come l’apparizione del male, il sacro nella sua declinazione di tenebra. Siamo in presenza dell’orrore, di una ferocia smisurata, di una linea di azioni così abiette da essere impossibile ogni aggettivazione. E su tutto vibra il sacrificio di una vittima innocente. La verticalità della vicenda ha in sé tutti i requisiti della tragedia, soprattutto nella formulazione di domande che non possono avere risposte. Gli strumenti linguistici a disposizione per affrontare questo lavoro sono quelli che il vocabolario teatrale ha costruito nella mia Palermo: il corpo, il canto, il dialetto, il pupo, la recitazione, il cunto. È dentro questo linguaggio circoscritto che questo problema linguistico va affrontato, sviscerato, interrogato, risolto.
Questo nuovo lavoro è una tragedia, una orazione civile, un processo di autoanalisi personale e condiviso, un confronto con lo Stato, una serie di domande a Dio in persona.
Per questo, questo lavoro è un autoritratto al contempo intimo e collettivo”.
Davide Enia
durata: 90 minuti
Immagini
Documenti
Locandina Autoritratto - immagine Francesco De Grandi e Federico Lupo [582 Kb]Locandina Autoritratto - immagine Francesco De Grandi e Federico Lupo [799 Kb]Rassegna stampa
Rodolfo Sacchettini, 'Cunti' sinistri e fiabeschi dal Senegal a Palermo - Altre Velocità, 1 agosto 2024 [127 Kb]Francesca De Sanctis, Autoritratto con mafiosi - L'Espresso, 19 luglio 2024 [542 Kb]Camillo Corsetti Antonini, Murire accisu. L'ultimo prodigio di Davide Enia è il suo autoritratto - Linkiesta.it, 5 luglio 2024 [611 Kb]Rosella Postorino, La mafia che ci portiamo dentro - La Stampa, 3 luglio 2024 [1465 Kb]Annalisa Camilli, Autoritratto di una generazione cresciuta all'ombra di cosa nostra - Internazionale.it, 3 luglio 2024 [158 Kb]Angela Calvini, Enia, 'La mafia e le radici del male' - Avvenire, 30 giugno 2024 [1346 Kb]Rodolfo di Giammarco, La mafia secondo Davide Enia: 'Porto in scena le radici dell’albero del male' - La Repubblica, 26 giugno 2024 [402 Kb]Laura Zangarini - Capaci, Puglisi. Il mio urlo contro la mafia - Corriere della Sera, La Lettura, 19 maggio 2024 [1078 Kb]Tournée
prima assoluta
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28 febbraio 2025, ore 20.45
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