Legacoop Cultura
La cultura è il motore della società, soprattutto quando si vive all’epoca dell’economia dell’immaterialità. La cooperazione culturale di Legacoop ritiene che sia del tutto errato leggere la cultura come un segmento separato dal resto della società, una sorta di settore produttivo circoscritto origine e fine delle sue performance. Gli effetti della cultura si traducono in comprensione, consapevolezza, valori, efficienza sociale e non si misurano solo nel numero degli studenti promossi o in quello di spettatori paganti, o di libri venduti. Anzi proprio gli studenti non promossi, gli spettatori latitanti e i non lettori di libri sono le ragioni ulteriori dell’intervento pubblico. Così come la ricchezza delle opzioni formative, la molteplicità dell’offerta culturale, il pensiero critico e minoritario sono il lievito della cultura e quindi da tutelare e da promuovere.
Sono queste le ragioni che portano a leggere le risorse destinate alla cultura come investimenti e obbligano ad una interpretazione dei risultati molto meno banale e settaria rispetto a quella avanzata da qualche ministro in pieno furore antiborghese.
Tutto questo non vuole dire che non si possano cercare modi diversi nella ripartizione e nell’impiego delle risorse disponibili, che comunque non possono essere quelli dell’appartenenza ad uno schieramento politico, della barbarie della dicotomia “amici”/”nemici”. Con queste manifestazioni si va oltre il noto e tradizionale disprezzo della cultura da parte del pensiero conservatore, si entra in una dimensione ricattatoria, e proprio in quanto indotta da morivi diversi dalla qualità del prodotto, in grado di distruggere risorse e non di moltiplicarne gli effetti.
Il FUS è ridotto a livelli insostenibili, ampiamente al disotto della soglia di efficienza; a questi livelli è più che probabile che corra il rischio di essere inefficiente. Occorre, diversamente da quello che pensa qualcuno, ricostituirlo e dotarlo di risorse capaci di riavviare un circuito produttivo in grado non solo di mantenere un’industria che non può essere ridotta a trovare una minimo di equilibrio con il lavoro intermittente e sottopagato, l’ultima arma di sopravvivenza, ma di rilanciarla in modo che sia capace di intercettare fasce sempre più ampie di spettatori, utenti e lettori. E di far cresce il Paese.
Per quanto riguarda, infine, il sostegno pubblico all’editoria, quando si dice che anche i giornali devono andare con le proprie gambe, le cooperative non possono che essere d’accordo ma ad una condizione precisa: che il mercato sia aperto cioè regolato da una norma concreta antitrust che elimini tutte le posizioni dominanti.