Udine | Teatro Palamostre
27 gennaio 1994
30 gennaio 1994

Riccardo II

Mario Martone affronta un classico: il Riccardo II di William Shakespeare.

locandina
anno
1992
testo
William Shakespeare
regia
Mario Martone
interpreti
Lucio Allocca, Renato Carpentieri, Roberto De Francesco, Massimo Lanzetta, Licia Maglietta, Andrea Renzi, Enzo Salomone, Mario Santella, Lello Serao
scene/luci
adattamento e scena Mario Martone
luci Pasquale Mari
e...
suono Daghi Rondanini
costumi Metella Raboni
produzione
Teatri Uniti

Dopo i successi della sua prima opera cinematografica Morte di un matematico napoletano, per cui è stato premiato alla Mostra del Cinema di Venezia dello scorso anno e che ha registrato ottimi risultati anche al botteghino, e mentre il suo splendido ed applauditissimo spettacolo teatrale Rasoi continua a riscuotere successi in tutta Italia, Mario Martone affronta un classico: il Riccardo II di William Shakespeare.
«Di questo testo» dice il regista «mi ha sempre colpito molto la giovinezza dei due re, simbolo dell’innocenza sacrificata per il mantenimento dell’ordine politico.
Riccardo perde la corona, Enrico la conquista, ma altri regolano questo passaggio, e ciò che i due giovani si passano è un pezzo di ferro grondante sangue che li opprime e li incupisce».
Con Martone è lo spietato gioco politico a divenire struttura portante.
La vicenda del Riccardo II si svolge in un paese in bancarotta economica e morale e proprio la contemplazione di un universo così circostanziato e lontano da noi (come l’Inghilterra medioevale della guerra dei Cent’anni) oggi può dare motivo di riflessione e conforto.
La messa in scena non turba in alcun modo lo sviluppo e resta fedele al testo scespiriano.

È un tuffo al cuore, un piccolo shock felice quello di assistere al Riccardo II che Mario Martone ha allestito con i suoi Teatri Uniti nello spazio della Galleria Toledo, un teatrino tutto nero, cinema in disuso da anni oggi spazio a più piani e pianta semicircolare, ideale per ritrovarvi uno Shakespeare che ci parla con assoluta «naturalezza».
Lo shock è appunto quello di prendere parte in quel contesto ad uno spettacolo che, al di là della sua «forma artistica» assai notevole, ci parla senza mediazioni o a tratti in maniera quasi troppo diretta. Benché la traduzione sia quella rigorosa e non di oggi firmata da Mario Luzi, la messa in scena non turba in alcun modo lo sviluppo e resta fedele al testo elisabettiano. Anzi nella rappresentazione ci sono spade, armature e troni che la vicenda di quella infelice corona richiede. Ma quelle parole forti e quelle situazioni violente di corruzione e tradimenti, di passaggi di poteri e nuovi assetti statuali non possono non gridarci di noi e dell’oggi.
Anche se la regia appunto non ha mosso una sola virgola per forzare «attualizzazioni» o ammiccare con qualche facile espediente alla realtà.
L’unico intervento di Martone riguarda la lunghezza del testo, che è stato abbondantemente sforbiciato per essere asciugato a circa due ore e mezzo di durata. Traducendo però in napoletano (nel dialetto fiammeggiante reinventato da Enzo Moscato) l’unica parte «popolare», quella del giardiniere. Dentro una tragedia che si snoda tutta tra i cerimoniali insidiosi di una corte allo sfascio.
Gianfranco Capitta, Il Manifesto

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