Udine | Teatro Zanon
21 febbraio 1985
24 febbraio 1985

Gli sposi promessi

Lo spettacolo di Beppe Randazzo è centrato su quel riuscito coagulo figurativo che è la posizione accosciata in cui recitano gli attori dentro costumi dalla struttura rotonda che li fanno sembrare strani pupi-palla.

locandina
anno
1985
testo
Daniele Panebarco
regia
Beppe Randazzo
interpreti
G. Brancato, Raffaella D'Avella, Gabriella Guccione, Antonio Lo Presti, Riccardo Morichetti, Leotine Regine, Giancarlo Repsa, Romolo Repsa
scene/luci
scnografia e costumi ideati da B. Randazzo, disegnanti da D. Panebarco e realizzati da S. Avanzini
produzione
Daggide

Lo spettacolo di Beppe Randazzo è centrato ancora una volta su quel riuscito coagulo figurativo che è la posizione accosciata in cui recitano gli attori dentro costumi dalla struttura rotonda che li fanno sembrare strani pupi-palla.
La capacità evocativa di questa forma - precedentemente utilizzata per esprimere l'universo ubuesco di Alfred Jarry - ne Gli sposi promessi viene usata per interpretare il complesso figurativo del testo di Panebarco.
La rilettura scenica si avvarrà di una chiave linguistica più specificamente ritmica per èvidenziare teatralmente l’intenzione ludica che pervade la sceneggiatura originaria.
Il testo di Daniele Panebarco sembra nascere in una dimensione dove i rapporti mentali non rispettano più il fattore tempo e quindi finiscono per creare un’interferenza di elementi non omogenei nello stesso spazio.
Questo accade non soltanto fra l'autore e le sue creature ma investe la logica stessa dei personaggi e i rapporti tra loro. «E’ come se mi fosse caduto l’intero contenuto di una libreria dentro la testa e ogni cosa fosse andata a prendere posto dove ha creduto e potuto» (Panebarco).
Gli elementi manzoniani, reali o supposti, galleggiano alla deriva in un mare di rappresentazioni oniriche derivate da ogni possibile matrice storica, letteraria o più semplicemente linguistica.
La scenografia è una gigantesca torta nuziale (m. 10 x m. 4,50) i cui tre piani si intersecano nello spazio con caratteristiche che aumentano la velocità di relazione tra i vari personaggi e che alludono ai vari piani mentali e linguistici del testo.
La maniera di relazionare questi piani fra loro rimanderà costantemente a una logica meccanica di tipo casuale.
Progetto ed esecuzione sono stati curati dal maestro della cartapesta Silvano Avanzini, noto per le sue macchine mobili, vincitore per il carro allegorico più bello all’ultimo Carnevale di Viareggio.

La Compagnia Teatro Daggide
Sin dai primi tempi della sua formazione il Daggide ha centrato il suo lavoro sullo studio del linguaggio nei suoi meccanismi e quindi nelle sue forme, nell’intento di mettere in scena l’uomo che agisce secondo motivazioni che siano in ultima analisi logiche quindi comprensibili.
Nel ‘79 dopo ripetute incompatibilità con le Amministrazioni locali, il Daggide trasferisce la sede operativa della Cooperativa in Emilia Romagna e mette a punto un progetto di lavoro triennale a Forlì. Intanto si lavora alla riedizione di Ubu, tratto da A. Jarry.
L’invenzione formale resta, ma il testo è ora integralmente di Beppe Randazzo, Io spettacolo parla di teatro.
Nell’80 il Daggide rende pubblico, con il nome di CADDEMA, un gioco teatrale al cui meccanismo il gruppo lavora dall’ottobre del ‘78. 
Il Daggide ha ricavato dal teatro delle regole che ritiene esserne alla base e che sono poi meccanismi stessi della vita e ha fatto di questi meccanismi regole di un gioco funzionale, conoscendo le quali il pubblico è messo in condizioni di individuare moventi dell’atto scenico.
Nell’81 inizia una collaborazione continuativa con il Teatro Cantiere a Pavia dove vengono allestiti spettacoli e laboratori sulla tecnica di CADDEMA.

Immagini