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Mettere in scena Romeo e Giulietta in un carcere

Un testo noto a tutti, un classico. Una storia di d’amore e di forti contrasti e chiaroscuri. Due famiglie che si odiano e si armano, una contro l’altra, con esiti sanguinosi.
Mettere in scena Romeo e Giulietta in un carcere, con un gruppo di detenuti uomini, è di sicuro una sfida per chiunque. Sia per chi in quel carcere ci entra per la prima volta per fare teatro, sia per chi in quel carcere ci sta magari per ragioni molto simili a quelle al centro della trama della tragedia di Shakespeare.
Per cinque mesi  - da gennaio a maggio, per 18 incontri settimanali - ce l’hanno messa tutta, per capirsi, per confrontarsi, per mettersi alla prova e scoprire assieme tutta l’inventiva e la libertà di espressione che solo il teatro può consentire, Manuel Buttus, attore e autore del teatrino del Rifo, e i partecipanti al nuovo laboratorio teatrale avviato quest’anno all’interno della Casa circondariale di Tolmezzo, nell’ambito delle attività promosse dal CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia con il sostegno della Direzione centrale salute, integrazione socio sanitaria e politiche sociali della Regione Friuli Venezia Giulia.

L’esito di questo percorso sarà naturalmente il debutto di uno “spettacolo” che andrà in scena, in forma di saggio finale, all’interno dell’istituto di pena, aprendosi il 19 maggio alle famiglie dei detenuti per un momento di condivisione, e in replica il 21 maggio per il pubblico della popolazione detenuta e degli operatori e volontari.

“Una volta scelto il testo su cui lavorare, abbiamo deciso di trasformare assieme il capolavoro di Shakespeare più in una commedia che in una tragedia”, racconta Manuel Buttus, parlando di questa nuova esperienza. “Romeo e Giulietta è diventato a poco a poco un’opera in cui abbiamo messo in gioco le tante lingue e soprattutto il colore e la vivacità non solo linguistica, ma anche mimica e di attitudine, dei dialetti del Sud Italia che in molti dei detenuti a Tolmezzo parlano e che sono diventate le parlate dei nostri Capuleti e Montecchi. Tutti hanno lavorato con rara determinazione, con inventiva: le persone che ho incontrato in questi mesi sono “attori” con un istinto e dei tempi teatrali che, se allenati e disciplinati, sono quasi perfetti. Naturalmente considero questo risultato un punto di partenza, per fare crescere ancora questa esperienza: con il gruppo che si è formato non ci conoscevamo, non ci siamo “scelti”. Abbiamo dovuto imparare a fidarci reciprocamente e da parte mia ho voluto che fosse chiaro che il mio “ruolo”  era teatrale e che il teatro è fatto innanzitutto di “disciplina” e “rispetto della regole”. E’ da qui che è iniziato tutto e da questi primi mesi spero ci sia la possibilità di fare altra strada assieme”.

Alla messa in scena hanno contribuito anche i lavori realizzati dai detenuti per costruire gli elementi scenici, il semplice set dello spettacolo, durante un laboratorio di cartonaggio e rilegatoria curato dalla cooperativa sociale Arte e Libro.

Nel mese di maggio, sempre nella Casa circondariale di Tolmezzo, è anche in corso un laboratorio di fumetto a cura di Massimiliano Gosparini, in arte Mudokon.