Il sogno del clown

Nella folla di personaggi - buoni e cattivi come in ogni fiaba che si rispetti - il clown rappresenta un emblema più che un personaggio, è "il clown in termini assoluti", uno spirito di libertà, di fantasia, di gioco e di ironia che è il sale dell'umanità

CREDITS
year
2000
text
di Francesco Accomando e Pierpaolo Di Giusto
directed by
Francesco Accomando
cast
Pierpaolo Di Giusto e Gianluca Valoppi
set & lighting design
scenografia di Marina Ba?ar e Gianluca Valoppi
luci Massimo Teruzzi
additional details
burattini di Gigio Brunello
costumi Marina Ba?ar
production
Centro Servizi e Spettacoli di Udine per l'Infanzia e la Gioventù

Il sogno del clown è fondato su una situazione iniziale che è un paradosso: un circo senza clown, un circo dove non si ride (il direttore è allergico). Il circo è qui la metafora di un mondo sempre più artificiale e disumano, dove lo spettacolo va alla ricerca dell'effetto e si nutre di violenza (il clone di Gurz si taglia in due con la flex). Ma il circo è anche la metafora di una struttura di potere: il mondo dominato dai grandi, i forti, i furbi, i prepotenti e ai margini i deboli, i piccoli, le persone sensibili.
In questa situazione si presenta un giorno un clown disoccupato - perché la fantasia e l'ironia in quel mondo non trovano più posto - in cerca di lavoro. AI suo arrivo il circo risponde con una sorta di autodifesa, accettando il clown ma solo per punirlo, condannarlo e annientarlo (in modo che, quando "la partita è finalmente chiusa", al circo si possa tirare un sospiro di sollievo perché "l'ultimo dei clown non esiste più"). Ma lo spirito del clown non può morire ("i sogni non si possono mettere in gabbia") e allora proprio attraverso il sogno - i cui fantasmi sono in questo caso figure positive - si produce il cambiamento, il riscatto dei deboli e la vittoria della fantasia e dell'ironia.

Nella folla di personaggi - buoni e cattivi come in ogni fiaba che si rispetti - il clown rappresenta un emblema più che un personaggio, è "il clown in termini assoluti" ("perché hai la faccia dipinta?", gli chiede l'Inserviente, e lui: "non è dipinta, è la mia faccia"), uno spirito di libertà, di fantasia, di gioco e di ironia che è il sale dell'umanità, quell'umanità che gli uomini rischiano di perdere diventando grandi. Il personaggio di Gurz è forse quello che meglio esprime la condizione dell'uomo, l'umanoide clonato e bionico, ormai privo di parola, vittima e carnefice di sé, intrappolato nei meccanismi di un mondo crudele. Provo ancora una sorta di shock alle parole di Pierpaolo Pasolini in un'intervista alla tv: "nella mia vita il futuro non è contemplato, non ho speranze". Nel nostro spettacolo l'ultimo burattinaio (Gianluca Valoppi) in attesa di una fantomatica corriera che lo porterà via per un viaggio senza meta, ha un solo pensiero sul suo domani: "prima di tutto voglio ricominciare a sognare".
Il sogno del clown appunto.

estratti dalle note di regia di Francesco Accomando

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